Per favore, non chiamatele più ricettine

Giulia Scarpaleggia, food writer, fotografa e insegnante di cucina, ci racconta come una ricetta non sia una semplice cronaca di ciò che avviene in cucina. Una ricetta è un condensato di poesia e scienza, ma anche di attivismo politico.

1_Quali elementi contribuiscono ad una ricetta di successo e in che modo possono creare un’esperienza coinvolgente per chi la segue?

La ricetta è una poesia, perché proprio come una poesia dovrebbe creare nella mente del lettore un’immagine il più possibile nitida di quello che sarà il prodotto finale, e un’immagine anche di quello che sarà il procedimento. Dovrà, quindi, avere una sensazione di quello che il lettore proverà mentre eseguirà la ricetta. Mettiamo che siamo seduti sul divano, sfogliamo un libro di ricette, e troviamo la ricetta di una focaccia. Cominceremo ad avere la sensazione dell’impasto sulle mani, la sensazione del profumo della focaccia che si espande dal forno, e anche la sensazione del momento in cui la mangiamo, quindi l’olio, i granelli di sale, la focaccia croccante fuori e morbida dentro. Ecco, questa è una delle caratteristiche comuni che una buona ricetta ha. Riesce a creare dei volti immaginari che sembrano veri, e riesce anche a risvegliare dei ricordi e delle sensazioni.

2_ Come allora il linguaggio utilizzato nelle ricette può avvicinare le emozioni, esprimendo creatività ma anche precisione?

Una ricetta condivide con la poesia anche l’utilizzo di figure retoriche. Prendiamo ad esempio la similitudine e la metafora. C’è questo autore inglese, Nigel Slater, che è uno dei miei food writers preferiti, che nel suo ‘’The Christmas Chronicles’’ descrive il panforte, e lo descrive dicendo che quando si mangia il panforte si ha la sensazione di masticare un manoscritto medievale. Ora, io sono quasi senese, e da quasi senese non ho mai trovato una descrizione del panforte così incisiva, che riesca a riassumere al suo interno la sensazione tattile di mangiare il panforte, ma anche la sua tradizione e la sua storia. A questo si aggiunge anche l’utilizzo di un linguaggio forte, concreto, e preciso. Se si usano gli aggettivi, dovremmo essere in grado di scegliere gli aggettivi giusti. I sostantivi dovrebbero essere sostantivi precisi, i verbi dovrebbero essere attivi. Quindi, magari non dirò pasta, ma dirò spaghetti o tagliatelle. Non dirò buono o delizioso, perché questo non aggiunge niente al racconto del cibo, ma magari cercherò di scegliere aggettivi come confortante, croccante, saporito, dolce, zuccherino. Tutto questo sta a sottolinea l’importanza che la forza che il linguaggio ha nella descrizione del cibo.
Però è importante ricordare che una ricetta è anche scienza. Una ricetta è come una formula matematica, ci sono degli ingredienti, delle quantità precise, delle reazioni chimiche. È come un esperimento scientifico, serve precisione. Tra i miei strumenti preferiti quando testo una ricetta c’è un righello, un timer, e poi c’è un quaderno su cui vado ad appuntare il procedimento, e anche i riferimenti visivi. Perché è importante appuntare i riferimenti visivi? Perché noi sappiamo benissimo che ogni forno è differente, che le condizioni della nostra cucina non sono le condizioni della cucina di un’altra persona.

3_ Quindi secondo lei, una ricetta è un mix di poesia e scienza?

Non del tutto. Per me una ricetta non è soltanto poesia, e non è soltanto scienza, ma è anche una forma di attivismo sociale e politico, è resistenza ed è memoria culturale. Quando nel febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina, due amiche food writers, Olia Hercules, ucraina, e Alissa Timoshkina, russa di origine ucraine, all’inizio sono rimaste pietrificate, ma poi hanno reagito. E l’hanno fatto condividendo ciò che di più intimo e di più quotidiano ci possa essere, che sono ricette di famiglia, ovvero la memoria storica di un popolo. Mentre la Russia cercava di cancellare l’identità politica, culturale, linguistica, ma anche gastronomica di quel popolo, loro la riaffermavano, condividendo ricette, sfruttando la forza di queste ricette per raccontare la loro identità. Da questa conversazione online è nato il movimento ‘’Cook for Ukraine’’ – che ha ricalcato ‘’Cook for Syria’’ di qualche anno precedente – che attraverso eventi online e offline ha raccolto in poco più di un anno più di 2 milioni di sterline, poi devolute ad altre associazioni che aiutavano la popolazione ucraina. Questa è la forza dirompente che può avere una ricetta. Non è una ricettina. È anche un modo per affermare un’identità culturale in un momento di bisogno.

4_ Come le ricette possono svolgere un ruolo importante in questa affermazione di identità culturale?

Pensiamo alla nostra storia. Tra fine ‘800 e inizio ‘900, circa 5 milioni di italiani sono fuggiti dalla fame e dalla miseria dell’Italia, per trasferirsi in Nord America. Quello che lasciavano dietro non era certo un’Italia con un’identità culturale e gastronomica nazionale, figuriamoci regionale. Si spostano in Nord America, e oltre ad una maggiore disponibilità economica, trovano tutti quegli ingredienti che soltanto potevano sognare in patria. Trovano anche un melting pot culturale, in cui l’Italia del nord incontra per la prima volta a tavola l’Italia del sud. In questo modo si mescolano e si contaminano le tradizioni culturali italiane.
Secondo Alberti Grandi, professore di storia dell’alimentazione, anche noto per il suo libro ‘’DOI – Denominazione di Origine Inventata’’, è stato proprio questo incontro di italiani in America che ha dato l’avvio alla creazione della cultura gastronomica italiana come la conosciamo adesso. Perché quando c’è stato un contro esito che ha riportato questi italiani in patria, si è creata una conversazione tra questi due mondi che ha dato origine a quella che è adesso la nostra identità culturale. E quale è stato l’elemento che ha aiutato questa creazione? È stato proprio un manuale di ricette, che oggi noi conosciamo come ‘’L’Artusi’’, che è la scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, pubblicato a Firenze nel 1891. L’Artusi per gli italiani immigrati in America era uno strumento di identità culturale, di affermazione e di orgoglio, attraverso cui si riusciva anche ad alfabetizzare le persone e a mantenere la stessa lingua italiana. Quindi, vi rendete di nuovo conto la forza che può avere una ricetta nella conservazione di una cultura gastronomica nazionale, ma anche nella sua creazione, come è successo anche per noi.

About

Giulia Scarpaleggia è una food writer nata e cresciuta in Toscana, autrice di libri di cucina, fotografa di cibo e insegnante di cucina. Tutto è iniziato dalla passione profonda per il cibo e le tradizioni toscane, che si è poi trasformata nel blog Juls’ Kitchen nel 2009. Insieme a suo marito Tommaso Galli, fotografo e videomaker, tiene corsi di cucina toscana, scrive un blog e una newsletter in doppia lingua, e un podcast in inglese chiamato Cooking with an Italian Accent. Insieme fanno anche consulenze per brand e riviste di cibo per sviluppare ricette. Ad aprile 2023 è uscito il loro sesto libro di cucina, Cucina Povera, pubblicato da Artisan Books. Puoi trovare le loro storie e le loro ricette nella loro newsletter Lettere Dalla Toscana Juls’ Kitchen è il loro progetto di famiglia.

Resta
aggiornato

Restare aggiornati non è mai stato così facile. Iscriviti alla nostra newsletter e scopri le novità sui nostri prodotti, le ricette, gli appuntamenti e le news da non perdere.