I menù parlanti di Valentina. Scrivere il nome del piatto non basta più.

Oggi conosciamo Valentina Falcinelli, brand strategist ed esperta in identità verbale. Ha scritto “Testi che parlano”, il primo libro italiano dedicato al tone of voice. Di sé dice: “So scrivere senza guardare la tastiera. Ma non so guardare la tastiera senza scrivere”.

1_Da dove parte questa passione per le parole?
Dal punto di vista della passione, con le parole e con la voglia di scrivere ci sono proprio nata. Ho iniziato a parlare e a scrivere prestissimo, con una bramosia che evidentemente era una predisposizione innata: ricordo che a 6 anni disegnavo storyboard senza nemmeno sapere cosa fossero.
Il mio approccio alla comunicazione arriva dal mondo della pubblicità, quella degli anni Ottanta in particolare. Diciamo che sono proprio cresciuta a pane e pubblicità. È in quell’ambiente comunicativo che si è concretizzata in seguito la mia professione, attingendo dalla reclame, come la si chiamava allora e come la chiamavo io italianizzando il francese.
Poi, all’inizio degli anni Duemila, qualcosa è cambiato. C’è stata l’esplosione del digitale e mi sono avvicinata così alla scrittura per il web, dedicandomi sempre di più al copywriting.

La scrittura oggi ha una funzione quanto mai importante per le imprese: aiuta a distinguersi, a creare rapporti umani con i clienti, a farsi ricordare (a proposito, ne parlerò quest’anno a Play Copy, il convegno immersivo di comunicazione strategica). Per questo mi sono specializzata in brand personality (personalità della marca), per conferire un tono di voce alle parole scritte, cosa non semplice, ma fondamentale per emergere nel mercato. È come se le parole fossero in grado di guardare il brand da un punto di vista più alto, dandogli la giusta identità. Come ho approfondito nel mio libro “Testi che parlano”, di Franco Cesati Editore, le parole hanno sempre una voce, anche quando le intrappoliamo su un foglio, di carta o digitale che esso sia.

2_Esiste davvero la famosa “crisi del foglio bianco” anche per le imprese?
La crisi del foglio bianco esiste. E lo dimostra l’utilizzo dell’intelligenza artificiale che viene vista come la panacea contro il blocco dello scrittore (o il portafogli vuoto dell’imprenditore).
In realtà quello che manca sono il pensiero, la strategia, il ragionamento, la direzione: tutte cose che l’AI non può restituire – e infatti strumenti come Chat GPT sono ottimi supporti ma non possono essere intesi come sostituti di professioniste e professioniste. Con i giusti input, l’AI ci può anche testi sufficientemente validi, ma se non diamo loro una direzione, non potranno mai aiutare la marca a distinguersi, a farsi ricordare. La mia proposta di valore è questa: aiutare le imprese grandi e piccole a fare il salto, attraverso strategie e testi con personalità – più che con brochure, piani editoriali, siti pieni di parole vuote. O artificiali.

3_Parliamo di ristorazione. Sono sicura che quando leggi i menù ti scappa un sorriso.
Sto assistendo alla fine di una certa tipologia di comunicazione all’interno del ristorante. Resiste ancora certamente la vecchia scuola, quella dei menù con le pagine plastificate e scritte al limite del didascalico, tipo “risotto alla milanese”, e basta. Si sta facendo strada una nuova scuola, quella dei ristoranti che in qualche modo cavalcano i trend – personalità ironica e spensierata, soprattutto quando il target è quello dei giovani. Non mi riferisco ai ristoranti stellati, dove esiste tutta una tipologia particolare di linguaggio, ma di hamburgherie o simili, dove si iniziano a vedere contenuti gradevoli e originali. Che fanno sorridere.

Il sorriso è invece amaro quando vedo cose fatte con superficialità o senza capire il potenziale di ogni singolo strumento, come il menù stesso. In tal senso, il menù deve comunicare il DNA, il posizionamento, la personalità del ristorante e non, in maniera scolastica, solo l’offerta. Ci devono essere una filosofia, un ragionamento, un’emozione nel presentare ogni piatto.
Non prestiamo mai attenzione abbastanza al fatto che il menu è uno strumento di intrattenimento che l’avventore legge, e col quale cui inganna l’attesa. Quale strumento migliore di storytelling se non proprio il menù? Non mi riferisco a quei locali che giocano provocatoriamente con i nomi dei piatti, molte volte davvero con cattivo gusto; penso invece al menù come strumento di comunicazione, che racconta per esempio quanto il ristorante tenga alla freschezza delle materie prime (per esempio raccontando che le zucchine di quel piatto specifico provengono dall’orto alle spalle del locale). Ecco che allora un ristorante può offrire molto di più di un semplice elenco. Può raccontare di come è nato quel piatto, del perché ha scelto quella ricetta e così via.
Tanti ristoranti stellati non hanno un menù, danno un nome di fantasia a tutta l’esperienza di degustazione, ma penso sia un’occasione persa per raccontare a fondo chi sono e qual è la loro filosofia-nel-piatto. Il menù, se ci pensiamo, è un passatempo. Perché per esempio non collegarlo ad un QR code dove attraverso il telefono (che tutti si portano a tavola) poter arricchire ancora di più il tuo racconto? Le idee per ottimizzare uno strumento così importante, e sottovalutato, sono davvero molte. Peccato restino ancora in un limbo. In un angolo. In un cassetto.

C’è una compagnia aerea islandese che mi ha sorpreso in tal senso, la Icelandair: anziché proporre nel menù di bordo la baguette con i suoi soliti ingredienti, racconta una specie di storia eleggendo la baguette a protagonista.

 

Fonte: https://www.insider.com/what-its-like-to-fly-icelandair-2017-6

È difficile fare qualcosa di diverso? Sì, lo è. Ma spesso nessuno fa il primo passo perché “tutti fanno così” e “si è sempre fatto così”. Ho scritto moltissimi testi per il settore bancario: pensate che noia se non ci fosse la possibili-tà di variare, di allargare il pensiero, il ragionamento, il registro. Non tutti gli istituti bancari hanno questo scatto mentale, ma molti sì e stanno facendo davvero un ottimo lavoro. Lo stesso vale anche per l’hôtellerie, su cui an-cora molto lavoro c’è da fare per eliminare i soliti luoghi comuni, i plastismi, le frasi da cartolina… Qualcuno ci prova, qualcun altro ci riesce. Ma ancora troppi hotel devono rimboccarsi le maniche.

4_E il linguaggio dedicato al vino, vogliamo parlarne?
Come nell’hôtellerie, dove ci sono ancora testi vecchio stampo, anche nel mondo del vino mi imbatto ancora in sequele infinite di banalità: i testi sono tutti simili, le descrizioni potrebbero essere tutte intercambiabili. È un peccato, perché il vino ha già di per sé una forte personalità.

Nelle etichette dei vini parole come “onirico”, “sensuale”, “sorprendente” e banali categorizzazioni nel target, che si divide sempre tra intenditori e appassionati. Mi chiedo perché non si possa raccontare qualcosa di diverso, anche prendendo ispirazione dai messaggi pubblicitari, perché no. Anche a parità di vitigno e di territorio di origine, con parole di valore si può fare la differenza, e distinguersi dai competitor, a partire dall’etichetta. Oggi si investe tantissimo nel design della bottiglia, nei pack. Ma le parole? Quanto potrebbe fare la differenza un perfetto sposalizio tra design e parole? Se una volta presa in mano la bottiglia, e letto il retro dell’etichetta, il cliente non solo avesse contezza dei migliori abbinamenti ma capisse qualcosa in più sull’origine (valoriale e non) di quel vino? Se ricevesse qualche vibrazione dal brand? Se ne capisse persino la sua missione e la sua visione?

Fortunatamente c’è molto movimento nelle nuove generazioni. È un piacere vedere che in molti abbiano compreso le potenzialità del digitale come strumento di una nuova narrazione di valori. Penso a una giovane brand ambassador come Francesca Bardelli Nonino, per esempio, che attraverso i canali social, soprattutto con un nuovo linguaggio e nuovi contenuti, sta aprendo le porte di una delle aziende più importanti al mondo. Bravissima Francesca, continua così!

5_ Cosa consiglieresti ad un amico che vuole aprire un locale? Come attrarre i clienti con i contenuti più corretti?
Prima di inventare il copy, il logo e il nome di un nuovo locale, va condotta una ricerca di mercato seria. Mi capita di ascoltare storie di proprietari che nella loro mente hanno un’idea favolosa senza aver fatto la minima indagine di mercato. Quale target vuoi raggiungere, quale sarà la corretta modalità comunicativa, ma soprattutto esiste il tuo potenziale cliente? Vuoi aprire un locale brasiliano a Livorno? Già, ma ai livornesi sei sicuro, sei sicura, piaccia la picanha? Credo che la fase di ricerca debba occupare il 70% del nostro tempo – se non vogliamo avventurarci in un’impresa fallimentare.

6_E i canali? (scrittura/web/social)
Dipende da quel 70% di cui parlavo prima. Potrei scoprire che il mio locale piace ai boomer, per cui Instagram e Tiktok potrebbe rivelarsi inutile utilizzarli, per esempio. In generale un consiglio che do sempre, molto basico a dire il vero, è sfruttare la propria mailing list, o il proprio database di contatti, non solo per mere finalità commerciali, ma anche – soprattutto! – attraverso attività di engagement e messaggi di altro tipo. Per esempio, un ristoratore potrebbe comunicare il cambio del proprio menu, con una parte di aneddotica su ogni piatto.

7_Per chiudere con una metafora culinaria: cosa bolle in pentola a casa di Valentina?
Il mio progetto attuale continuare a parlare in modo strutturato ai brand, per fare emergere un nuovo storytelling, per fare comprendere la differenza tra testi scritti bene e testi con personalità. Per far capire la potenza di una strategia di branding misurata, ben calibrata. Di una brand personality dirompente che possa trasformare l’azienda in un benchmark. Oggi le aziende vivono di urgenza, viaggiano sui binari del tutto e subito, si buttano in campagne di advertising, ma finita l’operazione – la parte di sales activation, per intenderci – anche il resto finisce. Si spengono le luci sul brand. Ci vuole tempo, invece, per portare avanti strategie, e quindi tattiche di branding che funzionino.

About

Valentina Falcinelli
Il mio lavoro è anche la mia più grande passione: aiuto le aziende a trovare, e comunicare, la propria unicità per distinguersi sul mercato. Progetto strategie di branding durature, partendo dalla brand personality e dai core va-lues per identità di marca davvero riconoscibili. A proposito di brand identity: ho scritto “Testi che parlano” (Fran-co Cesati Editore), il primo libro italiano dedicato al tono di voce nei testi aziendali che codifica per la prima volta i livelli di tone of voice.
Tra i brand che ho supportato in progetti di branding di successo: Alto Adige, Subito.it, BPER Banca, Borgione, Valle Camonica, Epicode.

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